martedì 13 ottobre 2009

Roma antica. Le innovazioni istituzionali dell’età imperiale.

 Non ci fu una “carta” che fondò l’impero. Il sistema istituzionale mutò gradatamente tra il 31 a. C. (vittoria di Ottaviano ad Azio) e il 14 d. C. (l'anno della sua morte). I poteri che durante la repubblica erano nelle mani di diversi magistrati si accumularono nelle mani di uno solo. Ottaviano nondimeno si presentava come restitutor rei publicae: egli non prese la carica di dictator, tanto meno quella di rex. Dal 31 al 23 a. C. fu console con colleghi a lui fedeli. Dopo il 23 a. C. il senato gli concesse il tribunato a vita, il proconsolato a vita e il diritto di presentare sempre proposte al Senato; egli era anche superiore a ogni magistrato che reggeva le provincie. Si fece dare il titolo di imperator, titolare dell’imperium militare e generale vittorioso. Nel 27 a. C. si ebbe la svolta. Ottaviano si recò in Senato rimettendo ad esso i suoi poteri. Il Senato gli attribuì onori eccezionali e gli conferì l’appellativo di Augustus. Dal 27 a. C. Augusto esercitò la potestas propria delle magistature ordinarie e straordinarie che gli furono attribuite dagli organi della repubblica romana. La sua auctoritas nondimeno lo poneva al di sopra di ogni altro. Princeps è anch’essa parola del periodo augusteo: è questo l’elemento di novità. Si trova un termine che designa il fatto nuovo (cioè la concentrazione dei poteri nelle mani di uno solo), senza traumi con il passato repubblicano. Quel che è certo: il termine ebbe enorme fortuna. Tutti gli imperatori si chiamarono optimus o iustissimus princeps.
Unico esempio di legge per il conferimento di poteri all’imperatore fu la lex de Imperio Vespasiani (69 d. C.) : sono poteri discrezionali, cioè il diritto e il potere di fare tutto ciò che sarà utile per lo stato. Gaio (1,5) in effetti conferma che il princeps riceve l’imperium mediante una legge di investitura. La clausola descritta configura una vera e propria facoltà legislativa (che si manifestava con epistole, decreti, editti). Ulpiano (Digesto, 1, 4, 1) conferma che quod principi placuit legis habet vigorem.
Nel III secolo d. C. si ebbe il passaggio dal principato al “dominato”: il potere senatorio decadde, mentre si rafforzava il ceto militare insieme al potere imperiale. Dal 193 furono sempre i soldati ad imporre gli imperatori. Gravissima la crisi dopo la morte di Alessandro Severo (235): molte legioni proclamarono imperatore il proprio comandante. L’evoluzione istituzionale fu sempre limitata. Gli organi politici tradizionali (senato, magistrature, assemblee) permasero. Diminuì invece il loro potere. L’ultima legge votata dai comitia data al regno di Nerva (96-98 d. C.). Erano comunque leggi ispirate dall’imperatore e fatte approvare. Anche i candidati da far eleggere nelle assemblee erano presentati dall’imperatore (o raccomandati attraverso la commendatio). I comitia diventarono organi di semplice ratifica. 
Rimase il consolato (nelle cerimonie l’imperatore si presentava accompagnato da loro). Divenne carica sostanzialmente onorifica, spesso data a consanguinei. Il pretori conservarono le funzioni giudiziarie, ma si impose progressivamente la cognitio extra ordinem gestita da delegati dall’imperatore. Continuava ad esistere anche la carica di questore, come pure quella di edile, ma le competenze amministrative e finanziarie erano ormai nelle mani di altri funzionari, nominati dall’imperatore. Quanto alla carica di tribuno e la carica di censore, entrambe le funzioni furono assunte dall’imperatore, che però non riceveva una formale investitura.
Il senato conservò alcune prerogative, anzi talvolta sembrò recuperare un certo ruolo. Era però di norma strettamente controllato dall’imperatore. I suoi senatoconsulti corrispondevano al volere di quest’ultimo. Crebbero invece le funzioni giudiziarie del senato, giudicava i processi di interesse politico, le cause in cui era coinvolto un senatore, i procedimenti di qualunque genere che l’imperatore poteva delegargli. Rimase centrale anche il ruolo nell’amministrazione: i senatori avevano cariche civili e militari, potevano essere chiamati al governo delle provincie. Il cursus honorum senatorio nell’Alto impero fu profondamente riformato.
Uno dei perni dell’amministrazione (soprattutto militare) fu nell’ordine degli equites. I cavalieri avevano un proprio cursus honorum, vertice del quale era la carica di prefetto del pretorio (molto vicina all’imperatore).
L’apparato amministrativo crebbe in effetti molto a partire da Augusto. L’impero era diviso in tre ripartizioni: Roma, l’Italia, le provincie. Augusto si avvalse della collaborazione di membri della famiglia, al pari di Tiberio. Adriano invece riunì un consilium principis nel quale entrarono anche giuristi. Esso divenne un organo di governo vero e proprio solo con i Severi.
Fin dai primi anni del principato furono create molte curae. Curatores erano creati dal Senato con competenza sulle acque, sul grano, sulla viabilità etc. Diversi altri funzionari avevano il titolo di procuratores. Con Claudio l’apparato burocratico fu suddiviso in quattro settori: ab epistulis, a libellis, a cognitionibus, a studiis; il primo per la corrispondenza; il secondo per i memoriali, il terzo per i procedimenti istruiti nella suprema corte imperiale, il quarto che rispondeva alle questioni sottoposte dall’imperatore. Questi uffici furono detti, dal IV sec. scrinia.
L’imperatore nominava anche i praefecti. Quello del pretorio comandava la guardia imperiale; il praefectus urbis controllava Roma e il territorio circostante; il praefectus vigilum controllava i pompieri.
Quanto al governo delle provincie, Augusto delegò al Senato l’amministrazione di quelle completamente pacificate. Qui vennero mandati ex magistrati (proconsoli o propretori) che reggevano la provincia per uno o due anni assistiti da un quaestor e da un legatus, magistrati con competenze finanziarie. Le provincie erano nondimeno governate in forma monocratica, non certo collegiale. Non era però una provincia l’Italia, le cui città mantenevano una larga autonomia. Solo sotto Diocleziano, l’Italia fu integrata nel sistema provinciale.
Centrale il ruolo della dimensione cittadina: il numero delle città nei primi tre secoli dell’impero aumentò in modo vertiginoso.
Le istituzioni politico-amministrative si consolidarono durante il Basso impero, grazie a una grande opera di sistemazione giuridica. L’apparato statale era inoltre ora ben solido e ramificato per tutto l’impero, non solo in Oriente, ma anche in Occidente.
Certo, la divisione in due dell’impero ebbe conseguenze: il senato si sdoppiò, uno a Roma, uno a Costantinopoli. Ma le magistrature non scomparirono: consolato, pretura e questura rimasero in essere, anche se dal IV secolo il collegio consolare fu diviso (un console per l’Oriente, uno per l’Occidente). Quando non furono più davvero operanti, le magistrature di origine repubblicana furono sostituite da funzionari di nomina imperiale. Costantino riformò in modo particolare l’amministrazione imperiale. Quattro ministri furono posti alla testa dei maggiori settori: il quaestor sacri palatii dirigeva la cancelleria, l’archivio centrale e sopraintendeva al processo di formazione delle leggi; il magister officiorum dirigeva gli affari interni (era altresì il vero capo della cancelleria e comandava le guardie del palazzo; gli erano sottoposti anche gli agentes in rebus: portatori di ordini, ma anche funzionari con compiti ispettivi e di polizia); il comes rei privatae amministrava i beni del sovrano; il comes sacrarum largitionum era responsabile del tesoro imperiale. Tutti questi ministri erano a loro volta a capo di apparati di cospicue dimensioni.
Diocleziano e Costantino riordinarono anche l’amministrazione provinciale. L’impero fu diviso in prefetture a loro volta suddivise in diocesi (da 13 a 15), a loro volta ancora in provincie (circa un centinaio ciascuna). L’organigramma dell’amministrazione imperiale prevedeva così: imperatore-prefetti-vicari (a capo delle diocesi)-governatori provinciali. Il prefetto del pretorio fu il protagonista della riforma. Furono cinque tra il 326 e il 337 (Gallia, Africa, Italia, due in Oriente); tre nel 340; quattro alla fine del IV secolo (Oriente, Italia, Africa e Illirico orientale, Gallie). Dotati di rango senatorio, essi erano la più alta autorità nel loro territorio. Promuovono l’azione amministrativa praticamente in tutti i campi. Hanno altresì funzione giurisdizionale.
Anche l’Italia fu ridotta al rango di provincia. L’apparato dei funzionari crebbe ulteriormente.
La divisione fra Oriente e Occidente iniziata con la tetrarchia voluta da Diocleziano, fu resa stabile solo dopo il 395 d. C. 

Scheda di lettura di Gabriella Poma, Le istituzioni politiche del mondo romano, Bologna: Il Mulino, 2002

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