martedì 13 ottobre 2009

La crisi dell'ordinamento repubblicano

Le conquiste di Roma raggiunsero dimensioni quasi imperiali con la conquista della Macedonia (168 a. C.) . Alla fine del II secolo, però, continuava a perdurare l’organizzazione “costituzionale” già consolidata. La lotta politica che si era scatenata intorno alle proposte dei fratelli Tiberio e Gaio Gracco (fra il 133 e il 121 a. C.) aveva portato a scossoni e a lacerazioni della “costituzione”non scritta romana. E ciò non solo per la virulenza della reazione al programma dei Gracchi, ma anche per la natura intrinseca di quel programma, che puntava ad enfatizzare il ruolo legislativo del tribunato della plebe e dei comizi (il cui ordine di votazione secondo Gaio Gracco doveva essere deciso per sorteggio), emarginando le altre magistrature (innanzi tutto il Senato). Affiorava così la possibilità di una deriva in senso “ateniese”, con un primato della democrazia assembleare sul costante temperamento dei poteri attraverso le mediazioni necessarie ad assicurare quelle convergenze postulate dalla costituzione romana.
Le tensioni politico istituzionali si accumulano tra il II e il I sec. a. C. Il Senato, il popolo e l’esercito di Roma, che avevano saputo in modo così straordinariamente efficace conquistare un impero, si mostravano sempre più incapaci di conservarlo (p. 244). La guerra “sociale” (91-89 a. C.), cioè dei socii (alleati), vide il sollevamento generale degli alleati italici contro Roma. La reazione romana fu militare, ma anche politica: la lex Iulia de civitate Latinis et sociis danda (90 a. C.) – poi integrata da due altri provvedimenti – diede la cittadinanza romana a tutti i popoli italici. Si ebbe così anche un’assimilazione culturale: il latino divenne ora la lingua della Penisola.
A Roma però ormai la fazione popolare (guidata da Mario) e quella aristocratica (guidata da Silla) si fronteggiavano con violenza. Fu Silla ad avere la meglio: dall’82 all’80 a. C. fu dictator, con poteri costituenti. Fu riformato il Senato, ribadendone la centralità nell’ordinamento. Furono invece limitati i poteri del tribunato della plebe. Fu rivisto il cursus honorum, fu riformato anche il processo penale. Silla non aveva però un disegno di affermazione personale: ribadita la fisionomia aristocratica delle forme politiche romane, considerò conclusa la sua opera di dictator e si ritirò a vita privata. La sua vicenda mise però bene in evidenza che i comandanti militari si erano sostanzialmente al controllo del Senato e delle assemblee: d’allora in poi, l’imperium militiae avrebbe acquistato un carattere sempre più visibile di potenziale erosivo ed eversivo delle istituzioni politiche di Roma.
Con il “triumvirato” di Gneo Pompeo (generale sillano), Marco Licinio Crasso (esponente degli equites) e Giulio Cesare (esponente dei “popolari”) una nuova forma di potere personale, basato addirittura su un accordo di natura privatistica fra i tre sconvolse le procedure “costituzionali” romane. Da questa esperienza discese la crisi definitiva della repubblica. Le guerre civili che seguirono si conclusero con la totale vittoria di Cesare, tra il 47 e il 45 a. C. Cos’era accaduto? La concessione della cittadinanza romana agli Italici aveva palesato l’inadeguatezza della forma di governo della res publica. Molte civitates sino ad allora formalmente indipendenti si erano trasformate in un’unica globale civitas. L’attività dei comitia, che prevedeva la partecipazione diretta alle decisioni politiche di Roma, era stata di fatto paralizzata: come potevano intervenirvi uomini che abitavano a giorni di distanza da Roma? Cosa potevano conoscere i difficili equilibri politici di Roma? I soli modelli di esperienze “costituzionali” dell’antichità in grado di tenere insieme popoli e territori molto diversi erano le monarchie ed imperi orientali, nei quali la volontà del sovrano si esprimeva in via autocratica. Il vuoto che si era creato nell’elaborazione politica era stato riempito dall’esercito, sfuggito ormai al controllo del Senato e pronto anzi ora ad imporre ai patres il proprio comandante come supremo reggitore del governo. Lo “strappo” di Cesare fu proprio su questo terreno. Varcando il Rubicone, egli entrava con le sue truppe nel pomerium di Roma (il limite sacro entro il quale si dovevano deporre le armi, esteso fino a tutto il territorio italico con le riforme del I sec. a. C.) e prendeva il potere manu militari.
Cesare assunse le cariche del vecchio ordinamento con un’inedita concentrazione: fu console, conservò il controllo dell’esercito mediante l’imperium pro-consolare, si fece conferire la carica di dictator, ebbe persino la potestà censoria (è incerto se sia stato nominato tribuno della plebe). Basandosi sul voto dei comitia centuriata, si fece attribuire anche il potere di decidere nuove guerre, di controllare le finanze statali, di nominare i governatori delle provincie.
Cesare non fu insensibile ai problemi istituzionali. Estese la cittadinanza romana a tutta la Gallia Cisalpina. Allargò il Senato fino ad una composizione di 900 membri: vi entrarono esponenti dei ceti “borghesi” italici. Riorganizzò altresì la struttura politica della Penisola. Fu una singolare costruzione, un «impero municipale». Diffuse e potenziò il sistema dei municipi; rivide il sistema provinciale, cercando di attuare un maggiore controllo sull’operato dei governatori e dividendo in due classi le provincie, a seconda che richiedessero o meno un più diretto controllo militare.
Cesare andava però probabilmente in direzione di una monarchia orientale. Il suo assissinio politico non fu però capace di ridare centralità alle antiche istituzioni repubblicane. Aristocratici e popolari continuavano a fronteggiarsi. L’esito della crisi fu il secondo triumvirato (Ottaviano, Marco Lepido e Marcantonio, tutti espressione del partito popolare), fatto addirittura votare dai comizi mediante la lex Titia de triumviris rei publicae constituendae consulari potestate creandis (43 a. C.). L’esercito di Cassio e Bruto fu sbaragliato (insieme alla parte più cospicua del partito senatorio), ma il conflitto si spostò all’interno del triumvirato. Antonio fu sconfitto definitivamente nel 31 a. C. (battaglia di Azio) e morì nel 30 a. C. 

Scheda di lettura di Capogrossi Colognesi Luigi, Storia di Roma tra diritto e potere
di, Bologna: Il Mulino, 2009

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