giovedì 15 ottobre 2009

La nascita della "Repubblica di San Pietro" (IV-VIII sec.)

Sin dal IV secolo, l’ordinamento della Chiesa romana fu
erede dell’organizzazione delle istituzioni imperiali. Tale
discendenza si manifestò presto anche nel lessico: il termine usato
da Gelasio I (492-496) per definire la sua autorità ecclesiastica era
infatti principatus. Quindi, Gregorio Magno (540-604) diede
particolare impulso all’amministrazione della Chiesa. I suoi più
intimi collaboratori erano i cubicularii, mentre i notarii si occupavano
della redazione dei documenti e della loro conservazione. A questa
data, i pontefici erano altresì domini di estesi possedimenti fondiari,
le cui rendite si dicevano destinate in servitio luminum delle basiliche
romane, cioè per garantire l’illuminazione delle loro numerose
lampade ad olio. Questi patrimoni aumentarono progressivamente
in estensione fino al V secolo: ad esempio, la Chiesa possedeva
vaste aree per la coltivazione cerealicola in Sicilia e in Calabria;
contemporaneamente, il vescovo di Roma eresse un sistema
centralizzato per la loro amministrazione. I patrimoni principali
erano governati da un rector nominato da Roma. A loro volta, i
rectores avevano ai propri ordini un apparato di funzionari composto
da difensores, notarii, actionarii. I contadini pagavano tributi (pensiones)
sia in denaro che in natura. Quando, dopo l'invasione longobarda
del 568, entrò in crisi la dominazione bizantina in Italia, i pontefici
si assunsero importanti compiti amministrativi, innanzi tutto a
Roma, dove era insediato un duca bizantino che comandava la
locale guarnigione militare, ma non erano più in essere né il Senatus
né il praefectus Urbis (fino a quel momento responsabili
dell’amministrazione). Così, dalla fine del VI secolo, i papi
intervennero per l'approvvigionamento alimentare di Roma, primo
compito di governo della città. I pontefici compravano grano o lo
facevano venire dalle proprie tenute (intorno a Roma organizzate in
domuscultae, grandi aziende rurali e lo distribuivano alla popolazione
di Roma, oppure lo vendevano a prezzi calmierati. Quindi, a partire
dal VII secolo, i pontefici intervennero anche sulla rete di
acquedotti di Roma e sulle infrastrutture (strade, ponti, torri, mura)
e promossero numerose attività assistenziali (ospedali, ricoveri per i
poveri e i pellegrini). Queste attività erano coordinate in distretti
detti diaconie, strutture insediate presso le comunità monastiche con
a capo un pater (ecclesiastico) e un dispensator (laico). Le già citate
domuscultae avevano altresì compiti di difesa territoriale: i soldati
posti a presidio di queste grandi aziende agricole erano detti
appartenere alla familia Sancti Petri.
L'attività amministrativa concentrata in Roma e nel suo
distretto e l’attività economica dei grandi possessi fondiari
costituirono il nucleo originario del dominio temporale della Chiesa.
Gradatamente, i papi acquisirono un ruolo anche in campo politico
e addirittura militare. Nella prima metà dell'VIII secolo, il papato
costituì dapprima un importante punto referente per chi, nell’Italia
bizantina, si era ribellato contro i decreti iconoclasti dell’imperatore
Leone III. Quindi, mentre i Longobardi invadevano le terre
dell’Esarcato e l’imperatore di Costantinopoli appariva sempre
meno in grado di tenere il controllo della Penisola, Gregorio II
(715-731) prese l’iniziativa della controffensiva contro Liutprando,
utilizzando forze bizantine e verosimilmente anche milizie arruolate
in proprio; l’atto con il quale nel 729 Liutprando gli restituì il castrum
di Sutri, nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, è stato spesso
considerato dagli studiosi l’atto di nascita dello Stato della Chiesa.
Quel che è certo, oltre a Sutri, il papato controllava altri centri lungo
la via Amerina, la principale linea di comunicazione tra Roma e
Ravenna (Bieda, Nepi, Orte, Bomarzo). La svolta si verificò a metà
dell’VIII secolo: con la caduta di Ravenna e la fine del dominio
dell'Impero di Costantinopoli sull'Italia centro-settentrionale i papi
divennero pienamente titolari di poteri sovrani nell'Italia centrale.
Infatti, dopo un nuovo movimento d'armi longobardo (in
particolare le campagne del re Astolfo, successive al 749), il
pontefice Stefano II ottenne dai Franchi di Pipino non solo aiuto
militare, ma anche la promessa di cedere alla Sancta Ecclesia Dei et
respublica Romanorum
, dopo la loro conquista, Ravenna e i territori
longobardi e già bizantini nelle Marche (la cosiddetta Pentapoli).
Dal canto suo, il pontefice incoronò Pipino re e gli concesse il titolo
onorifico di Patricius Romanorum. Dopo questi accordi, con due
campagne militari nel 755 e nel 756, i longobardi furono sconfitti
dai Franchi e il papato ebbe un suo primo dominio temporale di
grandi dimensioni, comprendente importanti città dell’Italia centro-
settentrionale che non erano mai state sottoposte né al papa, né al
duca bizantino di Roma (tra cui la stessa Ravenna, dove il papa
inviò come proprio rappresentante l’ex duca di Roma). La
cosiddetta Donazione di Costantino fu composta in questo torno di
anni (probabilmente tra il 757 e il 767). In essa era contenuta
l’affermazione che solo il papa deteneva il potere di inalberare le
insegne del potere imperiale romano e che era titolare di diritti
sovrani non solo sul palazzo Laterano e su Roma, ma anche su tutta
l’Italia e l’intero Occidente. Nessun pontefice in quegli anni avrebbe
avanzato pretese territoriali così vaste: nondimeno, la Donazione di
Costantino era efficace espressione delle crescenti ambizioni
politico-territoriali del papato alla metà dell’VIII secolo. Tra l’VIII e
il IX secolo, le donazioni dei sovrani franchi al papato furono più
volte confermate: Carlo Magno, dopo aver combattuto e sconfitto
nuovamente i longobardi in Italia, nel 781 e nel 787 cedette al
pontefice nuovi territori sia nel Lazio che nell’Umbria odierni. Tutte
le donazioni carolinge furono successivamente ribadite dagli
imperatori Ludovico il Pio (nel patto detto Ludovicianum: nell’817) e
Lotario (nel patto detto Lotharianum: nell’824). Era così consolidata
la protezione imperiale sull’integrità dei domini pontifici, ma essi
non erano più identificati con l’estesa porzione della Penisola
concessa da Pipino il Breve a Stefano II a metà dell’VIII secolo. Il
territorio della “Repubblica di S. Pietro”, secondo il patto di
Ludovico il Pio con papa Pasquale dell’817, non comprendeva più
tutto il territorio tra Luni e Monselice, né il Veneto o l’Istria (o
addirittura la Corsica), ma solo un’ampia porzione dell’Italia
centrale. Anche dopo la fine della dinastia carolingia, gli imperatori
sassoni seguirono la stessa linea (un nuovo documento a tutela del
dominio temporale dei papi fu siglato da Ottone I di Sassonia nel
962, un altro da Enrico II di Sassonia nel 1020). I pontefici avevano
ormai un nutrito dossier di ragioni giuridiche che sosteneva la
legittimità del proprio dominio temporale.
Nel contempo, si ebbe un relativo consolidamento
istituzionale. L’amministrazione della giustizia fu uno dei terreni
meglio dissodati. Sin dall’inizio del secolo IX, a Roma si svolgevano
assise nel palazzo (patriarchìo) Lateranense. Esse erano composte
da vescovi e funzionari della Curia e vedevano non di rado il
pontefice come presidente. Anche quando le sedute erano
presiedute dai missi imperiali, i giudici erano di solito ufficiali del
palazzo apostolico. Verso la metà del X secolo le forme del placitum
Romanum
(“placitum” vuol dire appunto corte di assise) si
consolidarono: vi partecipavano un presidente, alcuni giudici, cui si
aggiungevano pochi altri nobili romani (che, senza essere giudici, di
fatto si associavano alla pronuncia della sentenza), gli avvocati delle
parti. Gli scriniarii erano incaricati di redigere gli atti e la sentenza. I
giudici ordinari erano il primicerius, il secondicerius, il protoscriniarius, l’arcarius
(economo della Chiesa), il sacellarius, il primus defensor (gerente dei
patrimoni ecclesiastici), il nomenclator (difensore d’ufficio dei poveri).
A partire dalla fine del X secolo, compaiono nelle assise anche
giudici dativi, cioè assegnati su richiesta di una delle parti. Le sedute
di queste corti erano riunite quando il presidente le convocava e si
tenevano accanto al sagrato del Laterano, nel luogo detto Ad
Lupam, all’aperto, sotto la lupa di bronzo fissata all’esterno del muro
del patriarchìo. Durante gli spostamenti della curia pontificia nel
Lazio, furono altresì riuniti alcuni placiti detti «di Campagna».
Quanto alla giustizia penale, la scarsità di fonti permette di rilevare
solo che anch’essa era esercitata da funzionari nominati dal papa.
L’assetto istituzionale del nascente Stato della Chiesa
comprendeva anche attività in altri campi. Nell’organizzazione
monetaria, si deve rilevare che «tessere quadrate» furono battute da
Gregorio II, da Gregorio III e da Zaccaria. Quindi,
dall’incoronazione di Carlo Magno (800) all’inizio del X secolo si
moltiplicarono le emissioni di monete romane. Di rilievo, infine,
anche le premure dei pontefici per le installazioni difensive di Roma
e di altri centri del Patrimonio (come Civitavecchia, che Gregorio
III, pontefice dal 731 al 741, cinse di nuove mura) e per
l’organizzazione militare. La carica originariamente bizantina di
duca di Roma, più alto responsabile del presidio della città, permase
sino al 781, ma essa fu non di rado assegnata a consanguinei dei
papi; nel contempo, il papato prendeva il controllo dell’armata di
Roma attraverso la carica del superista (governatore militare del
Laterano) e del magister militum citato dalle fonti fin dal secondo
decennio del IX secolo.

Tratto da: Giampiero Brunelli, LE ISTITUZIONI TEMPORALI DELLO STATO DELLA CHIESA
Dispense didattiche per il modulo di Istituzioni politiche (aa 2007-2008), “Sapienza. Università
di Roma”, Facoltà di lettere e Filosofia (disponibili sul sito delle Pubblicazioni Aperte della Sapienza:   http://padis.uniroma1.it/getfile.py?recid=714 ) 

2 commenti:

Arianna ha detto...

A lezione abbiamo accennato al problema della distinzione tra potere temporale e potere spirituale. Citando il Prodi, lei ha sostenuto - se non ho frainteso - che è ad opera della stessa Chiesa che questa distinzione verrà sottolineata nel corso del tempo. Probabilmente non ne ho ancora capito le motivazioni, perchè continua a sembrarmi evidente come invece la Chiesa, principalmente ai suoi inizi, abbia invece riunito in sè entrambi. A tal proposito mi rifaccio al Montanari, il quale nel suo "Storia medievale" scrive :

"L'adesione al cristianesimo era stata soprattutto nei primi tempi una scelta aristocratica, di quella particolare aristocrazia urbana su cui poggiava l'organizzazione sociale romana in età imperiale. Tale originario sostrato sociale del cristianesimo aveva conferito grande autorevolezza alle gerarchie ecclesiastiche che si erano definite fin dai primordi dell'affermazione del culto e che finirono per costituire, una volta venuto meno il funzionamento delle magistrature urbane, una sorta di supplenza dei poteri pubblici nelle città."

Potrebbe aiutarmi a capire?

Giampiero Brunelli ha detto...

Il suo contributo (come anche quello di Lorenzo) è molto importante. Tuttavia, l'esempio dei poteri vescovili nelle città o dei vescovi-conti franchi o dei vescovi-principi tedeschi non inficia secondo me la portata generale della tesi Prodi. Prodi parla di macro-soggetti al livello più alto: non solo Chiesa/Stato, ma addirittura potere religioso/potere temporale. La ricaduta di questa dicotomia datata XI secolo sarebbe una distinzione con conseguenze visibili sulla vita dei singoli: cioè la distinzione tra foro interno (quello dei peccati) e il foro esterno (quello dei veri e propri reati penali), tra la giustizia dei preti (fatta di penitenza e assoluzione) e la giustizia dei re (fatta di galera e patiboli).
Se la tesi non la convince, sappia che non è la sola. Intere correnti storiografiche si sono dicharate perplesse (Adriano Prosperi per esempio ha rimarcato che la distinzione di Prodi tra Chiesa e Stato non si vede mica tanto se si considera il continuo appoggio che la Chiesa ha dato alla legittimazione sacrale dei sovrani e dunque dei poteri politici "civili").
Le incollo indicazioni bibliografiche (poi più sotto ancora passo ai suoi vescovi):

A proposito del volume di Paolo Prodi “Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto” / Interventi di Reinhard Elze, Diego Quaglioni, Nestore Pirillo, Paolo Pombeni. - In Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, 2000 . - a. 26, p. 743-778.

Prosperi, Adriano. Una discussione con Paolo Prodi. - In Storica, 2000 . - n. 17, p. 85-100.

Montorzi, Mario. La giustizia di Paolo Prodi: note di lettura. - In Storica, 2000 . - n. 17, p. 101-113.


L'esempio dei vescovi che si attribuiscono potere SUPPLENTE nelle città (e abbiamo fatto a lezione l'esempio proprio del vescovo di Roma, che a partire dal VI secolo "amministra" la città dal palazzo del Laterano) riguarda invece il particolarismo a livello "micro". Cioè: come abbiamo conti, duchi, marchesi, Comuni, corporazioni, associazioni giurate di ogni genere che hanno potere giuridico-politico, nel medioevo abbiamo anche vescovi conti, vescovi "supplenti", arcivescovi-principi etc. Abbiamo anche abati di grandi monasteri che hanno giurisdizione su parti importanti di territorio (e qualche volta fino a tutta l'età moderna!)
Ma questo ripeto mi sembra rientrare nel particolarismo "interno" a ogni struttura statuale ("interno" al regno di Francia, "interno" al Sacro Romano Impero Germanico). Non mi pare che questa costellazione di esperienze di "supplenza" possano aver dato vita ad esperienze di sovrapposizione TEOCRATICA dei poteri civili e religioso.
Questo non vuol dire che la Chiesa non abbia avuto un ruolo ENORME nella vita politica italiana ed Europea. (C'è un volume degli "Annali" della "Storia d'Italia" Einaudi, il IX, proprio intitolato "La Chiesa e il potere politico").

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