Le "fazioni pluraliste" (p. 78) - come le Cortes - fecero certo resistenza. Ma non poterono impedire, già intorno alla metà del XV sec. che i sovrani legiferassero "solo in virtù del loro potere assoluto" (p. 80). Attenzione: non vuol dire che il potere monarchico fosse illimitato (p. 81). Ma le leggi fondamentali che il principe non può toccare sono così elevate che nessuno le ha mai messe per iscritto, formalizzando l'obbligo del sovrano di attenervisi (p. 82). Si può citare come fonte il testamento di Isabella la Cattolica, che pone come limiti l'inalienabilità del regno e l'abbattimento delle prerogative regie; il testamento, però, non cita un altro limite ben visibile ai contemporanei: "l'approvazione popolare per l'imposizione delle tasse" (p. 82).
Il potere regio assoluto diventa fattore indiscutibile di razionalizzazione: nel modo di condurre il governo "c'è un approccio nuovo, positivo, tecnico e pragmatico che deve trovare giustificazione nei risultati raggiunti." (p. 83). E’ nella "istituzione di un sistema formale di leggi" (p. 85) il più evidente sintomo di razionalizzazione: la prima raccolta delle Ordenanzas reales de Castilla è del 1484.
Fondamentale fu poi l'apporto della burocrazia, che nelle monarchie occidentali si sentirono pars rei publicae e svilupparono un forte senso di appartenenza (p. 87).
Si può anche fare l'esempio dell'esercito: "Anche qui le caratteristiche peculiari sono la razionalizzazione, l'organizzazione e la tecnicizzazione, con in più l'uso delle formazioni di massa delle truppe, fatto che diede ancora maggiore importanza alla fanteria.
José Antonio Maravall, Le origini dello Stato moderno, in Lo Stato moderno, I: Dal medioevo all'età moderna, a cura di E. Rotelli e P. Schiera, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 69-90.
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